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lunedì 2 febbraio 2015

ALFASUD



L'Alfasud è un'autovettura prodotta dalla Alfa Romeo dal 1972 al 1984, la prima ad essere assemblata nello stabilimento di Pomigliano d'Arco. La versione coupé chiamata Alfasud Sprint e successivamente semplicemente Sprint è stata presentata nel 1976 ed è stata prodotta fino al 1989. L'Alfasud è il modello più venduto nella storia dell'Alfa Romeo con 1.017.387 esemplari prodotti.
Verso la fine degli anni sessanta, l'allora Presidente dell'Alfa Romeo, Giuseppe Luraghi, richiama al Portello (l'ubicazione dell'Alfa Romeo era in via Gattamelata) Rudolf Hruschka (già Hruska). Si trattava, comunque, di costruire un nuovo stabilimento nelle aree adiacenti alla Alfa Avio Costruzioni in provincia di Napoli, così da permettere all'Alfa Romeo, la produzione di un nuovo modello, completamente progettato da Hruska.
Per Luraghi la produzione della vettura assunse anche un ruolo sociale. L'IRI permise a Luraghi, grazie anche alle oggettive necessità logistiche, di creare, per accedere ai fondi destinati a favorire l'industrializzazione del Sud Italia, un nuovo stabilimento a Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli sui terreni già di proprietà della stessa azienda, per assemblare il nuovo modello ed i suoi derivati.
Nel 1967 iniziò, contemporaneamente, la progettazione dello stabilimento e della nuova vettura, entrambe sotto la responsabilità tecnica dall'ingegnere Rudolf Hruska, uno dei più importanti tecnici della scena internazionale, già "braccio destro" di Ferdinand Porsche e consulente Fiat, Simca, Cisitalia e Abarth. La sagomatura della carrozzeria, invece, venne congiuntamente affidata alla neonata SIRP - poi Italdesign - di Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani.
La gestione dell'operazione, capitanata da Hruska, fu resa completamente autonoma attraverso la creazione, il 17 gennaio del 1968, dell'Industria Napoletana Costruzione Autoveicoli Alfa Romeo (INCA) - Alfasud S.p.A. (con sede a Pomigliano d'Arco) che operava, nel completamento dello stabilimento e nella progettazione del nuovo modello, in maniera formalmente indipendente da quella che verrà definita "Alfanord" di Arese.
L'Alfasud venne presentata in anteprima nel 1971 al salone dell'automobile di Torino, le prime consegne iniziarono a giugno dell'anno successivo. Si trattava di una berlina quattro porte e due volumi con coda che gli americani avrebbero definito fastback (la versione cinque porte con il portellone posteriore arrivò solo al termine della produzione nel 1982), caratterizzata da soluzioni meccaniche "evolute" quali: trazione anteriore, motore 4 cilindri boxer, freni a disco su tutte le ruote (quelli anteriori erano inboard per ridurre le masse non sospese), retrotreno a ponte rigido con parallelogramma di Watt e avantreno MacPherson, semplice ma che permetteva l'economia di scala che la vettura si proponeva.
Discreto per l'epoca il Cx di 0,40, ma non eccezionale se paragonato allo 0,30 della concorrente Citroen GS del 1970 o allo 0,34 della Giulia del 1962, vetture, comunque, di un diverso segmento.

La prima serie (1972-1977)
Gli interni avrebbero dovute apparire di impostazione sportiveggiante, ma la qualità dei materiali e l'assemblaggio non furono sempre all'altezza. Alcune finiture apparivano spartane (pavimento in gomma, sedili in sky, plastiche della plancia economiche) ma furono compensate dalla dotazione di buon livello (volante e sedile di guida regolabili in altezza e posizione, moderno impianto di ventilazione). Nei primissimi modelli mancavano tuttavia il contagiri ed il servofreno. Vi era inoltre una pecca che fu giudicata grave da molti: le cerniere del portello del bagagliaio posteriore erano "a vista" e quindi ne pregiudicavano non poco l'estetica, e solo con la presentazione della terza serie, diversi anni dopo, furono ricoperte mediante l'applicazione di una bandella in plastica.
L'Alfasud portò al debutto il nuovo Motore boxer Alfa Romeo (soluzione che permise a Giugiaro di disegnare un frontale molto basso e sfuggente) raffreddato ad acqua di 1186 cm³. Il propulsore forniva discrete prestazioni, sicuramente superiori a quelle di autovetture di pari categoria, (si trattava, pur sempre, di 63 CV a 6000 giri), era pronto e disponibile nel salire di giri e, abbinato ad un cambio manuale a 4 marce, consentiva alla nuova Alfa Romeo di toccare i 153 km/h, velocità di tutto rispetto per un'autovettura che voleva inserirsi nel segmento medio-basso.
La commercializzazione della berlina a 4 porte iniziò nel 1972 ad un prezzo di 1.420.000 lire. Il successo fu buono, soprattutto per il comportamento stradale; unanimi i consensi da tutte le riviste di settore, sia italiane che estere, per la guidabilità complessiva, la tenuta di strada, la visibilità e lo spazio interno. Hruska, che era molto alto, aveva richiesto ai progettisti che l'abitacolo fosse così spazioso che, con una persona della sua altezza alla guida, un passeggero della stessa taglia stesse comodo sul sedile posteriore. Alcune fonti parlano di grossi problemi qualitativi che avrebbero rallentato la diffusione: si tratta di problemi cronici che, anche a causa degli enormi problemi sindacali, non permisero di raggiungere il previsto standard sul prodotto finito, le enormi richieste, però, imposero di avviare la vettura ai concessionari anche se non rispettava le previsioni di qualità. In alcuni casi la carrozzeria presentava, dopo pochissimo tempo, tracce di ruggine che aggredivano alcuni settori della carrozzeria tra i quali: i parafanghi anteriori, gli archi interni delle ruote, i montanti intorno al parabrezza e lunotto, formandosi persino sui pannelli centrali. Gli acquirenti della prima ora non perdonarono, oltre ai problemi di cui abbiamo già parlato, l'assenza di servofreno (aggiunto solo nel 1973) e del contagiri, anche in considerazione del prezzo. Mentre alla base rimase la versione 1200 da 63 CV con cambio a 4 marce (ora denominata Alfasud N), nel 1974 arriva la Alfasud L, con allestimento più ricco (sedili in panno, pavimento in moquette, poggiatesta anteriori, rostri ai paraurti, profili cromati ai finestrini, finiture più curate) e motore migliorato nell'erogazione di coppia (9 kgm a 3200 giri anziché 8,5 a 3500) che propose nuove finiture e dotazioni. Dal 1975 la L adottò il cambio a 5 marce, cambiando nome in Alfasud 5m, oltre che ad un migliore trattamento della lamiera del veicolo denominato "zincrometal" che consentì sulle successive versioni di limitare i problemi di ruggine che le prime versioni del modello presentavano.

Nel 1973 arrivò la versione Alfasud Ti a 2 porte, con allestimento sportivo. Le differenze, oltre al numero di porte, riguardavano:

- Nuovi gruppi ottici a quattro proiettori circolari
- Indicatori di direzione anteriori sui paraurti anteriori
- Rostri ai paraurti
- Cerchi specifici (in lamiera) e pneumatici maggiorati
- Spoiler anteriore (sotto al paraurti) e alettone perimetrale posteriore nero(che riducono il CX a 0,39)
- Tergicristalli, montante centrale e griglie di sfogo nere.

L'interno era più curato grazie ai nuovi sedili sportivi con fascia centrale in tessuto e fianchetti in sky, ai poggiatesta anteriori, al volante a tre razze, alla moquette sul pavimento ed alla dotazione che comprendeva finalmente il contagiri, il manometro dell'olio e il termometro dell'acqua. Dal punto di vista tecnico si segnalavano il motore potenziato a 68 CV (grazie ai nuovi alberi a camme e al carburatore doppio corpo), il cambio a 5 marce ed il servofreno. Nel 1976 la cilindrata del motore aumentò a 1286 cm³ e la potenza passò a 75 CV.

La "seconda" serie (1977-1980)
Nel 1977 alcuni piccoli ritocchi (nuovi paraurti con fascia in gomma, mascherina rivista, griglie di sfogo nere) permisero alla casa madre di proporre una "nuova serie" . Oltre alla solita Alfasud N, la Alfasud 5m viene sostituita dalle Alfasud Super, con finiture più curate, cambio a 5 marce e motore 1200 da 63 CV o 1300 da 68 CV. Queste modifiche, unitamente alla nuova gamma, danno luogo a quella che viene comunemente chiamata complessivamente la "seconda serie"; da notare, però, che - complice la complessiva continuità di questi modelli di Alfasud con quelli precedenti - alcune fonti ancora negano l'esistenza di una vera e propria "serie" 1977-1980, identificando una nuova "seconda serie" solo in coincidenza col lancio della versione dell'80.
La "Giardinetta" fu ritoccata nel 1977 come la berlina, adottò il motore di 1286 cm³ da 68 CV abbinato al cambio a 5 marce. Anche la versione a 2 porte Ti, venne aggiornata (nuovi paraurti con fascia in gomma, nuovo alettone posteriori, nuovi codolini passaruota neri, nuovi rivestimenti interni).
Invariato il motore 1300 da 76 CV. Nel 1978 la cilindrata del 1300 passò, per tutte le versioni, da 1286 a 1351 cm³ e la potenza crebbe a 71 CV. Contemporaneamente, sulle Ti, il boxer 1300 venne affiancato da una versione di cubatura maggiorata a 1490 cm³ da 84 CV.

La terza serie (1980-1984)
Nel 1980 venne effettuato un vero e proprio cambio di serie ristilizzando in maniera più profonda la vettura: cambiò il frontale (mascherina e gruppi ottici), la posizione delle frecce, la coda (nuovo cofano bagagli, luci più estese), i paraurti (in plastica nera), cornici e gocciolatoi (neri) e gli interni (completamente nuovi). Alcuni lamierati esterni furono profondamente rivisti nel disegno. La gamma comprendeva adesso:

Alfasud 1.2 4m (con motore da 63 CV e cambio a 4 marce)
Alfasud 1.2 5m (con motore da 68 CV e cambio a 5 marce)
Alfasud 1.3 (con motore da 79 CV)
Alfasud 1.5 (con motore da 84 CV)
La versione base 1.2 4m era riconoscibile per i paraurti più sottili, l'assenza di bande protettive laterali e la dotazione ridotta all'osso. Non venne più riproposta la poco gradita Giardinetta.

Nel 1982 arrivò finalmente il portellone posteriore per le versioni 5 porte SC, questa modifica meriterebbe un capitolo a parte poiché la spesa per modificare i macchinari di produzione non fu mai "ammortizzata"; addirittura la vettura prodotta con il portellone si rivelò inferiore, come resistenza tosionale, alla berlina 4 porte. Alla base rimase la S a 4 porte, mentre il top di gamma era rappresentato dalla 1.5 5porte Quadrifoglio Oro, con motore 1500 bicarburatore da 95 CV e finiture curate (interno in velluto, volante in legno, mascherina argento metallizzato). La gamma '82 comprendeva:

- Alfasud 1.2 4p S (con cambio a 4 marce e motore da 63 CV)
- Alfasud 1.2 4p/5p SC (con cambio a 5 marce e motore da 68 CV)
- Alfasud 1.3 4p/5p SC (con motore da 79 CV)
- Alfasud 1.5 5p Quadrifoglio Oro (con motore da 95 CV).

Nel 1980 anche le Ti vennero aggiornate, sulle tracce della berlina 4 porte. Potenziati (grazie all'alimentazione bicarburatore) i motori di 1351 cm³ (86 CV) e 1490 cm³ (95 CV).
Nel 1981 le Ti abbandonarono la configurazione a 2 porte per adottare quella a 3 porte, grazie al portellone posteriore. Furono le prime Alfasud ad adottarlo. La nuova carrozzeria 3 porte venne offerta anche in allestimento base. Nello stesso anno arrivò la versione 4p Valentino firmata, con colorazione bordeaux metallizzata e nera, cerchi color oro, interni in velluto nero, volante in legno. Il motore era il 1200 da 68 CV.
Nel 1982 la 1.5 Ti, lasciò il posto alla più potente (105 CV) 1.5 Ti Quadrifoglio Verde, riconoscibile per i cerchi in lega, le bandelle sottoporta e i sedili più sportivi. Inoltre entrò in listino la versione, la 4p Junior, con una dotazione di serie essenziale e solo con motore 1.2 da 68v e cambio a 5 marce.

L'Alfasud Giardinetta
Fortemente voluta da Hruska e da Giugiaro, viene presentata nel 1975 la versione "Giardinetta" a tre porte, già dotata del motore di seconda generazione, tipo 30102, con potenza e coppia aumentate e la possibilità del cambio a 5 marce.
In previsione del trasporto di carichi pesanti, fu studiata una speciale nervatura di collegamento tra il pianale e i passaruota posteriori che conferisce alla vettura un'eccellente rigidità torsionale della scocca. Il design è di Aldo Mantovani e per la prima volta ricompare la denominazione "Giardinetta", registrata dalla carrozzeria Viotti nel 1945 per contrassegnare le sue vetture station wagon, su autotelai FIAT e Lancia, che rappresentano le progenitrici di questa tipologia di automobili.
Lo scarso gradimento del pubblico italiano verso le station wagon - considerate fino agli anni ottanta dei veicoli da lavoro -, l'unica configurazione a tre porte e l'elevato prezzo di listino (3.101.000 Lire per il modello base nel 1975), determinarono lo scarso successo commerciale della "Giardinetta", nonostante fosse dotata di un elegante pianale di carico in finto legno e di un ampio portellone che consentiva di trasportare oggetti molto ingombranti.
La prima serie, nelle due versioni "Giardinetta" e "Giardinetta 5M", fu prodotta dal 1975 al 1977 in 3.799 esemplari, mentre la seconda serie, nell'unica versione "Giardinetta 1.3", fu prodotta dal 1977 al 1980 in 2.100 esemplari.

L'Alfasud Sprint (1976-1989)
Benché la moda delle coupé volgesse al termine, nel 1976 l'Alfa Romeo decise di lanciare l'Alfasud Sprint, una coupé a 4 posti con carrozzeria fastback e portellone posteriore. Disegnata da Giugiaro e fortemente ispirata alla Alfetta GT, era una vettura riuscita. Il motore era il boxer di 1286 cm³ da 76 CV, brillante ma non abbastanza potente. Il prezzo elevato e la qualità mediocre limitarono il successo, oltre al fatto che, nonostante la linea a due volumi ed il portellone posteriore, il sedile posteriore era fisso e non poteva quindi essere ribaltato per ampliare il bagagliaio. Nel 1978 la gamma venne ampliata con l'introduzione delle versioni Veloce 1.3 e Veloce 1.5, mosse dalle versioni bicarburatore dei boxer di 1351 cm³ (86 CV) e 1490 cm³ (95 CV). Alla base rimase la versione 1.3 con motore 1351 monocarburatore da 79 CV. come è ovvio immaginare, riguardo ai volumi di vendita la fece da padrone la "veloce 1.5" mentre la piccola 1300 viene tuttora ricordata come una RARA versione dell'Alfasud Sprint. Nel 1983 un restyling (nuovi paraurti in plastica, nuova mascherina, nuovi gruppi ottici posteriori, nuovi massicci fascioni laterali, verniciatura in nero di tutte le parti prima cromate e nuovi interni) diede vita alla seconda serie, denominata semplicemente Sprint (senza più Alfasud). Senza addentrarci nelle questioni di marketing è ovvio immaginare che , in occasione della commercializzazione dell'Alfa 33, nessuno volesse creare intralci al nome "nuovo" della berlina di Pomigliano. Due le versioni disponibili: la 1.3 (1351 cm³, 86 CV) e la 1.5 Quadrifoglio Verde (1490 cm³, 105 CV attenuti grazie all'introduzione di 2 testate modificate). Quest'ultima era riconoscibile per i filetti verdi su paraurti e fascioni ed i sedili sportivi con poggiatesta traforati.

La fine
Mentre nel 1982, in previsione della fine dell'Alfasud e del lancio di nuovi modelli assemblati a Pomigliano, l'Alfasud S.p.A. aveva gia' cambiato nome in "I.N.C.A. Investimenti", nel 1983 venne presentata l'Alfa Romeo 33 destinata a sostituire definitivamente l'Alfasud berlina nel 1984. Sopravvisse solo la Sprint che venne modificata nella meccanica anteriore adottando lo stesso sistema frenante della 33, ovvero con freni a disco nella parte anteriore posti sui mozzi e freni a tamburo posteriori, la Sprint continuò la sua carriera fino al 1989, dopo che nel 1987 la versione 1490 venne sostituita con il motore 1712 8 valvole della 33 quadrifoglio verde.

Per gli altri modelli dell'Alfa Romeo, la messa su strada da parte delle forze dell'ordine avveniva con uno scarto di più di un biennio rispetto al lancio delle versioni civili. Tale lasso di tempo, infatti, era necessario perché tali mezzi fossero preventivati (al momento dell'uscita di un nuovo modello, le forze dell'ordine ancora stavano mettendo su strada esemplari del modello precedente) e per lanciare la laboriosa procedura d'acquisto. Per vedere l'Alfasud in livrea si dovette addirittura attendere la terza serie; furono infatti le versioni 1.3 e 1.5 della serie "1980" ad essere acquistate ed utilizzate quali volanti dalla Polizia di Stato. In questo caso, si segnala la presenza di esemplari di fine seconda serie, probabilmente ancora sulle linee di montaggio al momento del contratto, ed aggiunti dall'Alfa nei lotti da cedere. Un esemplare di Alfasud terza serie (versione super 1300 del 1980, targato Polizia 56856) è oggi conservato presso il museo delle auto della polizia a Roma[3]. I problemi del modello, uniti all'uso come vettura di servizio, hanno portato alla demolizione di pressoché tutte le auto già della polizia.

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